Neolaureati: un anno per viaggiare

Il "gap year", tradizione anglosassone che farebbe tremare le mamme italiane

23/03/2010 | Di Claudio_VL | Commenti: 0

Repubblica ha pubblicato un articolo intitolato "Laureati, un anno disoccupati - generazione senza prospettive ", che si dilunga nella descrizione delle difficolta' dei neolaureati in Italia. Leggendo il titolo speravo che l'articolo parlasse anche della pratica anglosassone del gap year. Invece no, quindi ne parlo io qui.

Gap year e' il periodo sabbatico - generalmente un anno - che gli studenti britannici trascorrono viaggiando, tra la fine delle scuole superiori e l'inizio dell'universita'. Quell'anno viene trascorso viaggiando, di solito molto lontano da casa, e magari svolgendo attivita' di volontariato. Ed e' questo il mio suggerimento ai neolaureati: se gia' sapete che avrete un anno a disposizione in cui non troverete lavoro, fate qualcos'altro. Viaggiate.

Se e' vero che un neolaureato italiano deve aspettarsi un anno senza lavoro, e' anche vero che quell'anno puo' essere usato per arricchirsi di esperienze professionali e non. Viaggiare e' un modo per imparare, e quell'anno di mezzo, in cui uno non e' piu' uno studente e non e' ancora un lavoratore, e' il momento piu' adatto per un lungo periodo all'estero. Mesi, non parlo mica di anni, eh?

Questo sara' l'unico periodo, se uno conta di vivere in Italia, in cui sara' possibile passare del tempo all'estero. Dopo aver iniziato a lavorare, con il matrimonio, e con l'arrivo dei figli, la possibilita' di trascorrere periodi piu' lunghi di un paio di settimane fuori dai patri confini si riduce drammaticamente. E anche se uno non si sposa e non ha figli, non e' detto che riesca a viaggiare. Secondo un recente sondaggio (1), questi sono i motivi che impediscono alla maggioranza degli italiani(/e) non sposati di passare lunghi periodi all'estero:

36%: Costa troppo;
23%: Ho dei genitori a cui badare, mica sono un ingrato!
18%: Non posso lasciare la casa incustodita;
12%: Ho il cane che non puo' viaggiare e non sa stare senza di me;
10%: E se poi non riesco ad aggiornare la mia pagina su Feisbuc, mentre sono via?
1%: Attendo la consegna di una bambola gonfiabile.

E' strano come noi italiani siamo attaccati a quel che abbiamo anche quando non abbiamo nulla (un lavoro, in questo caso). Con una laurea in tasca, e sapendo che per un anno sara' quasi impossibile trovare lavoro, preferiamo stare a casa sperando di essere quell'improbabile eccezione che conferma la regola: un neolaureato che trova immediatamente lavoro.

Ripenso a qualcuno che ho conosciuto e che ha saputo quando prendere un periodo di pausa per poi riprendere a lavorare con impegno ancora maggiore. Dan, un ex collega, lavorava negli USA e si licenzio' all'inizio del 2008. Non torno' immediatamente a casa sua, vicino a Londra, perche' non aveva offerte di lavoro, in quel momento. Invece, attraverso' gli Stati Uniti in auto in un viaggio che duro' quattro mesi e che gli insegno' molte piu' cose sugli USA di quelle che aveva imparato vivendo per due anni ad Atlanta. Tornato in Inghilterra, trovo' lavoro, compro' auto e casa.

Un altro: Ian, negli anni novanta, passo' un anno circa attraversando l'Europa a piedi. Passo' mesi in Spagna e in Polonia, insegnando l'inglese, fornendo consulenze informatiche occasionali, imparando tante cose. Tornato in Inghilterra, divento' responsabile informatico di un'azienda, e quando quell'avventura fini', si rimise in viaggio per fare una cosa che non aveva ancora fatto e che gli interessava: camminare dalla Spagna alla Turchia.

Tra poco potrebbe capitare anche a me, di prendere un "gap year", o forse solo una frazione d'anno: tre mesi, quattro mesi, o magari sei. E come per i connazionali neolaureati, anche nel mio caso la durata della vacanza e' influenzata da fattori esterni: ora sono a Singapore, se tornassi in Europa ci vorrebbero tra i due e i tre mesi per le mie cose per raggiungere l'Europa via mare. Inutile arrivare a Torino, o a Londra, prima che arrivino i miei calzini, la mia bici o il mio computer fatto coi Lego.

Non e' che l'anno di mezzo sia per forza da trascorrere lontano. Pero' sarebbe da trascorrere "lontano da". Lontano dalla famiglia, dalla citta' in cui tanti di noi finiscono col passare tutta la vita, lontano dagli amici e dai rituali consolidati in tanti anni di frequentazioni. Lontano dalle frustrazioni delle tante piccole e grandi illegalita' che rischiamo di considerare normali (2).

Passare un anno all'estero non significa dimenticare la corsa al lavoro in Italia: uno puo' essere a diecimila chilometri da Roma e consultare l'elenco dei concorsi pubblici via Internet, se lo desidera. E per mandare un CV non e' necessario essere in Italia.

Tra l'altro, passare un periodo all'estero potrebbe tornare a vostro vantaggio quando prenderete parte alla selezione per un impiego. Ci sono persone che si occupano di "risorse umane" (3) e che sono intelligenti a sufficienza da capire che un'esperienza di vita all'estero arricchisce la professionalita' di una persona rendendola un candidato migliore. Nel mio piccolo e' successo anche a me: trovandomi a selezionare del personale per vari ruoli all'interno di un team informatico, mi trovai - in pieno accordo con la direzione da cui dipendevo - ad assumere, a parita' di qualifiche, la persona che aveva piu' esperienze personali e lavorative all'estero. E cosi' fu che lavorai per alcuni anni di fianco al vichingo piu' basso del mondo, un finlandese che s'era appena trasferito in Inghilterra dopo un anno passato negli Stati Uniti.

Parafrasando ed espandendo l'immortale frase di Giulio Cesare: andai, vidi, tornai e trovai lavoro. E questo e' l'invito e la speranza che vi propongo oggi.

Amen.




1: Non mi dire che alla tua eta' ancora ti fidi quando ti dicono che quattro stronzate vengono da un "recente sondaggio"? Sveglia! Si tratta di motivi e percentuali inventate. Verosimili, ma inventate.
2: Esemplare su questo tema l'articolo di Roberto Saviano su Repubblica: Per un voto onesto servirebbe l'Onu.
3: Scusate, ma non riesco a non sorridere e a non usare le virgolette quando leggo - o quando devo usare - l'espressione "risorse umane". E' una frase disegnata apposta per spersonalizzare l'oggetto che descrive - le persone - e renderle dei beni fungibili, intercambiabili e senza altre caratteristiche al di la' della capacita' di svolgere una certa funzione in un certo sistema (l'azienda).


Argomenti: educazione, idee per un viaggio, scuola, Wanderlust

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