Lavorare all'estero, perdere il lavoro all'estero

Per trovare lavoro puo' essere necessario molto tempo, per perderlo basta un attimo

30/06/2015 | Di Claudio_VL | Commenti: 5

Abbiamo parlato spesso di lavorare all'estero, di come trovare lavoro all'estero, e soprattutto di come si lavora e come si vive all'estero. Oggi parliamo di come si perde il lavoro all'estero, o meglio, di come sia rapida e informale la conclusione di un rapporto di lavoro.

Il licenziamento di Bill, negli Stati Uniti: licenziato prima di una riunione


- Ci vediamo su, in riunione!
- Cinque minuti e arrivo.

Saluto Bill mentre esco dall'cubicolo in cui lavoro e mi dirigo verso le scale, per salire al piano di sopra, dove abbiamo una riunione. Mi siedo, gli altri membri del gruppo di lavoro arrivano alla spicciolata. Siamo una decina, Bill non arriva. Robert, che gestisce la riunione, arriva, si siede e inizia l'introduzione. Gli chiedo se non sia il caso di aspettare Bill, lui risponde che Bill non lavora piu' per l'Azienda.
- Ma come, stava per venire qui dieci minuti fa...
- La situazione e' cambiata, e la presenza di Bill in azienda e' stata reputata non piu' opportuna.

"Non piu' opportuna". Cosa vuol dire? Ti viene da pensare di tutto.
Bill era un "consigliere militare" con l'esercito USA in America Centrale e si e' macchiato di crimini indicibili nella lotta contro la guerriglia di Sendero Luminoso. O forse ha parcheggiato il suo pick-up nello spazio riservato al CEO. No, Bill e' un serial killer. No, il suo taglio di capelli non era in linea con il regolamento aziendale. No, Bill aveva molestato una collega. Trovato, Bill e' colpevole di appropriazione indebita. No, Bill ha criticato Robert una volta di troppo. No, Bill era un piantagrane.

Non lo sapremo mai. Bill, licenziato da Robert in cinque minuti prima di una riunione, non ha mai voluto spiegare i termini della conclusione del rapporto.

Parleremo di tre miei conoscenti: Bill (Stati Uniti), Jack (Macao) e Steven (Londra). E per iniziare, citero' le parole del mio primo "capo" in Inghilterra, quando mi offri' il lavoro:
- Possiamo assumerti come dipendente o come collaboratore/consulente esterno.
- Quali sono le differenze?
- Dal punto di vista della certezza del posto di lavoro, nessuna!




Il licenziamento di Jack, a Macao: scortato fuori dall'edificio


A Singapore, in ufficio. Una chat su Skype con il mio semi-capo a Singapore, il mio semi-capo negli USA e un collega a Macao. I "semi-capi" sono miei superiori cui sono collegato, nella gerarchia aziendale, da una linea tratteggiata. Non mi piacciono le linee tratteggiate, la mancanza di chiarezza, ma in questo caso credo ne beneficino tutti: sapendo che sono l'unico sopravvissuto (in azienda) del team inglese che ha creato il sito Internet "corporate", l'Intranet e il backend software, di solito mi dicono cosa c'e' da fare e poi mi lasciano lavorare. In questo caso, la chat riguarda qualcos'altro. Qualcun altro.
OK, sincronizziamo gli orologi: alle xx:xx, Jack verra' informato del licenziamento. In quel momento dovranno essere bloccati il suo profilo per il sito aziendale, per Sharepoint, il badge per spostarsi nell'edificio, la carta di credito aziendale in suo possesso. A quel punto verra' scortato fuori dall'edificio, dopo avergli dato il tempo di raccogliere - sotto sorveglianza - le sue cose.

Jack, il mio collega, ha lavorato per tanti anni con l'azienda. C'e' il sospetto (al mio livello e' un sospetto, a livelli aziendali piu' alti sara' probabilmente una certezza) che Jack abbia una conoscenza cosi' dettagliata del sistema informatico utilizzato nella sua filiale (e sviluppato da lui negli ultimi dieci anni) da avergli permesso di manipolare il sistema in modi non necessariamente leciti. E tutti hanno una paura folle che, dicendogli "sei licenziato", lui possa fare danni permanenti al sistema o ai dati in esso contenuti.

Per cui io devo disattivare il suo profilo utente sul sito e sull'Intranet, altri faranno la stessa cosa in altre aree del sistema informatico aziendale (non c'era ancora l'SSO, il Single Sign-On, a quei tempi), e qualcuno accompagnera' Jack fuori dall'edificio, come si vede nei film americani. Umiliante.



Il licenziamento di Steven, a Londra: "lasciato andare" dopo l'orario di lavoro


Venerdi' pomeriggio, sono le cinque e un quarto, esco dall'ufficio per prepararmi al lungo viaggio verso casa, durata prevista cento minuti. Dopo mezz'ora sono sul treno della linea Hammersmith & City e mi arriva un SMS dal capo:
Stai lavorando sul computer di Steven usando la sua password. Se Steven cambia password, avrai ancora accesso ai tuoi files?

Messaggio chiaro ma dal contesto poco chiaro: sia il capo che Steven sanno che sto usando le credenziali di Steven per "entrare" nel computer, sono stati loro a dirmi di fare cosi'. Perche' Steven dovrebbe cambiare password e "chiudermi fuori"?

Un altro SMS del capo, nel giro di due minuti, arriva a chiarire i miei dubbi:
Non sono soddisfatto del lavoro di Steven. L'ho appena lasciato andare. Conferma per favore se hai accesso ai tuoi files sul suo computer.

"I let him go", l'ho lasciato andare. Il modo di dire dell'inglese aziendale usato in tutto il mondo per evitare di dire la parola licenziamento. Avevo avuto il presentimento che il capo fosse parecchio piu' soddisfatto con il consulente a contratto (io) che con l'IT Director accuratamente selezionato (Steven), ma non pensavo fosse in arrivo una decisione cosi' irreversibile il venerdi' pomeriggio, dopo la fine dell'orario di lavoro (per me), senza alcun informatico in ufficio (ma sarebbe stato difficile fare altrimenti: nella piccola startup eravamo solo in tre: il direttore, l'IT Director, e il sottoscritto, consulente ColdFusion/MySQL).

Rispondo via SMS al capo:
I miei files sono nella cartella C:consultant, se ho accesso a quella cartella non ho perso niente.

Il tempo di rimettere lo smartphone in tasca, nella folla della metropolitana nell'ora di punta, e arriva la prevedibile telefonata (gia', perche' hai rimesso il telefono in tasca?). Il capo conferma che, entrando col suo login sul computer di Steven/mio, i files nella cartella C:consultant sono accessibili. Inizia poi a spiegarmi il motivo per cui ha deciso di prendere una decisione cosi' drastica riguardo a Steven, che tra l'altro e' una persona disponibile, spiritosa, probabilmente competente. Con la mia tradizionale attitudine a fare l'avvocato del diavolo, gli chiedo se non fosse stato il caso di fare presente a Steven le sue mancanze (carenza di "report" quotidiani sulla situazione, grande esperienza ma troppo da manager e troppo poco "hands on", lentezza nell'affrontare i problemi tecnici) in modo da dargli modo di rimediare, e soprattutto se non ci fossero alternative piu' ragionevoli, rispetto al licenziamento dopo le cinque e mezza di un venerdi', col weekend davanti, cioe' due giorni prima di poter vedere le conseguenze della decisione.

No, par di capire che la situazione, pur rimanendo civile e professionale, non poteva continuare. Steven doveva andarsene, e ora se n'e' andato, come si usa in questi casi il capo gli paghera' il periodo di preavviso stabilito nel contratto, in modo da terminare immediatamente la relazione professionale.

L'ennesima conferma che, all'estero, la differenza tra "contratto a termine" e "contratto a tempo determinato" non sta nella sicurezza del posto di lavoro.


Argomenti: lavorare all'estero, vivere all'estero

Commenti (5)Commenta


30/06/2015 10:54:26, Jonathan65
Leggendo questo Post, vengono spontanee delle domande che nascono dal confronto con le usanze e i comportamenti Italiani la prima:
quanto conta a livello di reputazione e di curriculum il fatto di essere stato licenziato quanto ti presenti ad un colloquio per un nuovo lavoro?
Come ci si protegge da licenziamenti arbitrari, cioè non dovuti a scarso rendimento o incapacità, ma perché stai antipatico al capo?
Quanto conta l'esperienza lavorativa rispetto alle certificazioni?
il "leccaculismo" è una pratica diffusa? o richiesta?
è vero che all'estero non contano mai le raccomandazioni?
Esiste il Nepotismo?
30/06/2015 11:35:44, Claudio_VL
Buongiorno Jonathan,
quante domande! Inizierò con qualche risposta basata sulla mia esperienza, ci sono altri "espatriati" che leggono questo blog e spero vorranno dirci qual'è la loro esperienza in proposito.

Curriculum e licenziamento: primo, se chi licenzia non usa la parola licenziamento, non vedo perché dovrebbe farlo chi viene licenziato: ci sono molti modi per inserire un'esperienza del genere nel CV. Assunzioni e licenziamenti fanno parte della routine quotidiana, MA il modo in cui descrivi la conclusione di un rapporto professionale è importante: un atteggiamento negativo o egocentrico ("stavo antipatico al capo", "ero troppo produttivo", "dicevo la verità") non giocano a favore del candidato. Tra l'altro: esiste ancora quella reliquia italiana del XII secolo, il "libretto di lavoro"?

Esperienza e certificazioni: dipende da chi esamina il tuo CV. Se un selezionatore cerca candidati con una laurea specifica, e tu non ce l'hai, non ti contatterà (e tu probabilmente non verrai a sapere di quell'opportunità per la quale vedresti comunque scartato). Io non credo d'avere ALCUNA certificazione informatica, nel mio CV vicino alla parola "Università" c'è la parola "Psicologia", eppure ho riattivato ieri notte il mio CV su Monster e Reed.co.uk, e stamattina ho ricevuto tre telefonate e quattro email riguardanti lavori specifici (tieni presente che, per avere una marea di offerte avrei dovuto riattivare il CV 24 ore prima, in modo da farlo trovare attivo e visibile per le agenzie il lunedì mattina, quando sono più "reattive").

Nepotismo e leccaculismo: probabilmente esistono entrambi. Il primo soprattutto nelle nazioni in cui c'è un forte senso della famiglia: Europa meridionale, Africa, America Latina, Medio Oriente, Asia... praticamente ho lasciato fuori solo i Paesi di cultura anglosassone e nordica (qualcuno vuole contraddirmi, per favore?). Il leccaculismo, nelle varianti "fedeltà al tuo superiore anziché al bene dell'azienda" e "Yes boss, that's a great idea", l'ho trovato in abbondanza negli Stati Uniti, qui in Gran Bretagna si apprezza di più chi è capace di dire no. Per dire: dopo che ho spiegato ad una ditta i motivi per cui avrebbero fatto bene a NON assumere me, mi hanno voluto assolutamente assumere. C'è chi dice no... e a volte c'è chi apprezza.
30/06/2015 11:46:02, Claudio_VL
Quando ho parlato di curriculum e licenziamento, ho dimenticato di concludere: per quanto ho potuto verificare, un licenziamento non è un motivo per non assumere un candidato.
30/06/2015 12:57:57, Jonathan65
Grazie alla redazione per le Pronte risposte utilissime e rispondendo alla domanda "se esiste ancora quella reliquia chiamata libretto di lavoro?" si esiste ancora ma credo che non abbia più il valore che aveva soltanto 30 anni fa credo sia un orpello che ti porti a dietro più per un Italianissimo folclore Burocratico che per effettiva utilità. Ultima domanda:
Esiste un indice o un metro di come vengono considerati gli italiani che lavorano all'estero? o meglio se come italiano all'estero nel mondo del lavoro ci si sente più o meno considerati e/o discriminati?
30/06/2015 14:04:35, Claudio_VL
> credo sia (il libretto di lavoro, NDR) un orpello che ti porti a dietro più per un
> Italianissimo folclore Burocratico che per effettiva utilità.

Folclore, ecco una parola che non uso abbastanza! Si', il libretto di lavoro, come il concetto di "ufficio di collocamento", mi pare siano cose da museo, superate dalla realta' da un bel po' di tempo.

No, gli italiani non mi pare vengano discriminati all'estero, perlomeno non per lavori "qualificati". Va detto che ero poco italiano in Italia e non e' che lo sia diventato di piu' da quando sono all'estero... non bevo caffe' e non fumo, per cui non ho mai fatto pause per caffe' e sigarette, due cose (considerate) molto italiane. Trovo essenziale fare una pausa e camminare, invece. Ma basta parlare di me. Dovessi mettermi a diffonderlo io, uno stereotipo sugli italiani all'estero, direi che i manager italiani all'estero (e non solo all'estero...) sono incapaci di capire che non si puo' convocare una riunione alle 17,25.

Ora m'e' venuto in mente una situazione vera che ha portato a far decidere ad un conoscente/semi-parente americano di non assumere mai piu' un italiano. Siamo nella seconda meta' degli anni Novanta. Il "semi-parente" (stesso mio cognome, famiglia proveniente dallo stesso paesino italiano, ma senza parentela perlomeno dal 1800) ha una carrozzeria auto sulla West Coat statunitense. Assume un meccanico, carrozziere o quel che e' (*) italiano, appena arrivato dal BelPaese. Il primo giorno di lavoro, durante l'orario di lavoro, prima ancora di mettersi a lavorare (anziche mettersi a lavorare), il neo-assunto inizia a far domande su quante pause sono consentite, quando puo' prendere ferie, perche' deve condividere un banco di lavoro con altri colleghi, come mai gli e' stato messo a disposizione un armadietto vecchio e non il piu' recente, a che ora puo' andare a casa, se possono evitare di farlo lavorare con neri e messicani, che a lui non piacciono (**), se c'e' un'auto aziendale che lui possa usare al di fuori dell'orario di lavoro ... un divo, insomma. Magari alcune delle domande erano legittime, ma tempi e modi in cui sono state poste hanno contribuito ad irritare tutti, in officina (**)).

Tornando ai pregiudizi sugli italiani... ce ne sono, ma non riguardano molto il mondo del lavoro. Magari ne parlero' un'altra volta.






(*): non conosco tutte le professionalita' presenti presso le officine dei carrozzieri.
(**): per come mi e' stata raccontata la storia, in officina erano TUTTI neri o messicani, a parte il proprietario italo-americano e il neo-assunto italiano. Ottimo modo per inimicarsi il 100% dei colleghi!
(***): il conoscente che mi ha raccontato la storia e' ovviamente il proprietario dell'officina, che mi e' parso, le due volte che l'ho incontrato, incredibilmente paziente e ragionevole.

Domanda di verifica

Rispondi alla domanda seguente usando una sola parola, nessun numero.
In quale continente e' l'Uganda?


Codici consentiti

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