L'inglese che entro' in mare a mani vuote e ne usci' con un tavolo d'acciaio

10/03/2009 | Di Claudio_VL | Commenti: 0

Siamo a Sentosa, l'isola molto turistica e poco esotica a sud di Singapore. Mia moglie ed io, accompagnati dal nostro ex collega Dan in visita a Singapore, siamo in spiaggia e ci godiamo il caldo. Dormicchiamo. Oltre trenta gradi, siamo alla fine di gennaio ma sarebbe lo stesso se fossimo alla fine di febbraio, agosto o novembre: di pomeriggio la temperatura scende raramente sotto i trenta gradi, a Singapore, e spesso supera i trentacinque, in qualsiasi mese.

Abbiamo un'isoletta artificiale di fronte a noi, e dietro le centinaia di navi che transitano negli Stretti di Singapore ogni giorno. Dan ed io andiamo a nuoto sull'isoletta, che sara' ottanta metri per trenta, a dir tanto. Camminiamo in spiaggia, parlando dei bei vecchi tempi a Londra, del periodo meno bello che abbiamo trascorso entrambi ad Atlanta, e del suo nuovo lavoro che lo porta a viaggiare tra Leeds, in Inghilterra, e Sydney, in Australia. E' curioso come, lavorando insieme, si e' spesso prossimi allo scannarsi, e col tempo, invece, si arriva a tollerare anche comportamenti che ci parevano insopportabili e a capire chi ci pareva incomprensibile. I "bei tempi a Londra" sono stati anni cosi', in cui momenti di prossimita' intellettuale tra persone di nazionalita' differenti si alternavano con periodi di reciproca intolleranza. Sembrano passati secoli, da quel periodo.

Esplorato ogni metro quadrato della piccola isoletta, torniamo verso la "terraferma", l'isola di Sentosa. Entriamo in acqua, e dopo cinque metri l'acqua inizia ad essere troppo profonda per toccare il fondo: la traversata e' lunga una trentina di metri, non c'e' corrente ne' pericoli, e non paiono esserci motivi per preoccuparsi. Ma succede qualcosa di imprevisto: Dan rovista sul fondo, prima coi piedi e poi, immergendosi, con le mani. Dopo qualche secondo riemerge, le braccia appesantite da qualcosa che e' ancora sott'acqua. Ecco che emerge il mistero: sul fondo, Dan ha recuperato il piano di un tavolino in acciaio, tondo, un metro e mezzo di diametro, lievemente ossidato.

Non gli dico di lasciarlo dov'e': entrambi abbiamo un pizzico di quell'attitudine da hessiani miglioratori del mondo che porta a prendere decisioni poco pratiche, poco ragionevoli. Propongo invece all'ex collega di passarmi un'estremita' del tavolo, che ad occhio pesera' una decina di chili, in modo che si riesca entrambi a nuotare con un braccio solo. "Mi dispiacerebbe doverti tirare una mazzata sulla capoccia per salvarti dall'annegamento", gli dico. Lui persiste nel nuotare portando da solo questo grosso disco d'acciaio. Non e' un'impresa, forse, ma non e' facile nuotare cosi'.

Dan arriva a riva, e porta il tavolino fin sotto alla torretta dei bagnini. Non ci sono cassonetti ne' altri luoghi per depositare la spazzatura, nei dintorni; sara' per questo che qualcuno ha abbandonato il tavolino in mare? Parla coi bagnini, e lascia loro in consegna il tavolino.


Argomenti: antropologia spicciola, Gran Bretagna, Singapore

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