Provate a spiegare all'estero cosa succede in Italia

Calcio, Berlusconi, eroi di guerra, turismo e prostituzione: stereotipi nuovi e vecchi sull'Italia

23/10/2010 | Claudio_VL | 2 commenti

Nel corso di un convegno Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, ha detto "E' difficile andare in giro per il mondo a spiegare cosa succede in Italia". Grazie, non ci voleva un manager plurilaureato per capirlo, ma mi fa piacere vedere che c'e' arrivato anche Marchionne. Nell'ultimo decennio, che ho trascorso all'estero, sono stato spesso coinvolto in conversazioni sull'Italia; in alcune occasioni ci sono stati da sfatare degli stereotipi, spesso mi sono state fatte domande spiacevoli, imbarazzanti o curiose. Ecco una selezione di quelle conversazioni, svoltesi a volte in Italia e a volte all'estero, conversazioni che a volte toccano la situazione politica italiana, altre volte riguardano invece in generale l'immagine che l'Italia da' di se' all'estero.

L'anno era il 2004, ero in taxi a Taipei (Taiwan). Il tassista mi chiese di che nazionalita' fossi. Alla mia risposta, mi chiese se fosse vero che la liberta' di stampa in Italia era limitata, "come ai tempi di Mussolini"...

2006, Londra. Un amico cuoco si trasferisce in Inghilterra per lavorare a Londra, la sua citta' preferita. E' la seconda volta, passa qualche settimana con noi. Parliamo dei datori di lavoro che ha incontrato finora da queste parti, e dice che lavorare per un boss inglese va bene, ma se il ristorante e' invece italiano, dimenticati d'essere pagato per intero, dimenticati d'essere pagato per tempo, e se fai un periodo di prova dimenticati anche d'essere pagato. Ipse dixit.

Milano, intorno al 2005. Entro nell'ufficio di un conoscente, che sta parlando con un ospite, il direttore di una filiale straniera della ditta per cui lavoro. Ci salutiamo, invito a riprendere la conversazione, abbiamo una riunione insieme ad una quarta persona tra un quarto d'ora. La conversazione riprende, il collega straniero ascolta pazientemente una lunga serie di lamentele sul Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, poi chiede a me cosa ne penso. Condivido la critiche, rispondo. Lo straniero ci chiede "Com'e' che non incontro nessun italiano che voti o anche solo apprezzi Berlusconi, eppure continuate ad eleggerlo?". Beh, "the empty can rattles the most", gli rispondo. Chi e' soddisfatto parla meno di chi e' insoddisfatto.

A Taoyuan (una citta' taiwanese) guardo la tv con amici e parenti taiwanesi. Cambiando canale ci troviamo di fronte ad una partita di calcio, e immediatamente vediamo oggetti gettati dagli spalti, poi uno dei due portieri viene colpito da un razzo. Penso a quali possano essere le nazionalita' dei tifosi delle due squadre, visto che non sono abbastanza vicino alla tv per leggere i nomi delle squadre. Intorno a me vedo facce preoccupate. Mi avvicino alla tv e scopro che si tratta di Inter-Milan, in Champions League. Quello colpito e' Dida, il portiere milanista. Qualcuno mi chiede se succedano spesso cose del genere nel calcio italiano. Qualcun altro menziona uno scooter lanciato dagli spalti a Milano, io spiego che era piccolo, piccolissimo, un ciclomotore, e che i tifosi non avevano neppure dato fuoco al carburante, mi pare. La partita nel frattempo e' sospesa, e una mano pietosa cambia canale, si passa al baseball, per fortuna.

Atlanta, USA, Pasqua 2006. Sono ospite al pranzo pasquale di una famiglia americana, ci sono altri colleghi. Il marito della padrona di casa, un sessantenne proprietario di capannoni, che a tutta prima potrebbe sembrare il tipico statunitense del Sud grosso, grasso, repubblicano e provinciale che non sa nulla di quel che accade fuori dalla sua contea, mi fa una domanda che mi lascia basito: "Credi che Berlusconi abbia perso le elezioni per l'appoggio che ha dato alla politica estera statunitense?".

Singapore, giugno 2010, in un pub lungo Boat Quay. Sul megaschermo del pub c'e' Italia-Slovacchia. Qui dentro tutti tifano per gli underdog, gli slovacchi sfavoriti dal pronostico e dalla classifica FIFA. La nazionale italiana dorme fino a meta' del secondo tempo, poi si sveglia. Nel pub, molte voci chiedono (non a me, che non sono identificabile come italiano nonostante indossi una maglietta azzurra) "Non potevano svegliarsi prima, questi italiani, anziche' puntare come sempre allo zero a zero?". Vecchia storia, la nostra propensione al minimo risultato col minimo sforzo.

Taoyuan (Taiwan), agosto 2010, a casa di parenti. Mio cognato legge il giornale, chiede a sua sorella, mia moglie, di tradurmi quello che dice: "Il giornale dice che il vostro primo ministro e' stato beccato con delle prostitute ed e' nei guai". Gli rispondo che no, non e' una cosa recente, e che non capisco come mai sia sul giornale oggi. Lui replica "Non e' una storia recente? Vuoi dire che si e' gia' dimesso per lo scandalo?". No, gli spiego, non s'e' dimesso perche' lo scandalo e' stato relativamente piccolo, tanti pensano che un Presidente del Consiglio abbia diritto a fare quel che vuole nel "privato". "Nonostante sia sposato?", chiede una parente. "Beh, e' un gigione, riesce a farsi perdonare tutto, Lui". Mio cognato mi chiede se il Presidente del Consiglio venga considerato un modello, in Italia. Gli rispondo che, in questo caso, spero di no.

Atlanta, 2006-2008. Amo il football americano, e parlo spesso di questo sport coi colleghi statunitensi, durante la pausa mensa e a volte anche durante l'orario di lavoro (ebbene si', ho peccato). Tony e' di New York e tifa Giants, Cedric e' di Washington e tifa per i Philadelphia Eagles, Ricardo e' un fisicamente un clone di Michael Vick e tifa per la squadra in cui Vick gioca, che e' poi la squadra di Atlanta, i Falcons. Laura tifa Patriots perche' "Tom Brady, il quarterback, e' cosi' sexy!", e Ron, sessantenne, segue solo il campionato dei college perche' "I professionisti sono una banda di delinquenti strapagati". Spesso confrontiamo il football statunitense col calcio (soccer) del resto del mondo, e nello spiegare come mai non lo apprezzano, emergono commenti sul calcio italiano: se per noi "il calcio non e' uno sport per signorine", per gli statunitensi il calcio e' uno sport per signorine, tanto che ci sono piu' donne che uomini che lo praticano. E i nostri calciatori, sempre impegnati a risistemarsi i capelli, continuamente a terra in preda a crisi isteriche, o impegnati a trattenere e spintonare giocatori avversari quando l'arbitro non guarda, vengono considerati nel migliore dei casi effeminati, nel peggiore, invece, continuano a perpetuare lo stereotipo dell'italiano tutta apparenza e niente sostanza, continuamente impegnato ad aggirare le regole per fare i propri comodi.

Singapore, 2010. In ufficio qualcuno fa un commento su un collega italiano in visita qui. "Cosa ne pensate degli uomini italiani?", chiedo ad alcune colleghe singaporiane. "Nel resto del mondo sono famosi come latin lover quanto e piu' dei francesi". Un paio di ragazze, rapide - e dimentiche del fatto che dopotutto sono italiano - rispondono con una risatina: "No, proprio no, sono troppo grezzi e diretti", e mi raccontano dell'ennesima cena aziendale, con un collega italiano che ci ha provato con tutte, riuscendo a farle sentire tutte degli oggetti, e apparendo anche parecchio disperato.

Inghilterra, inverno 2003, in un pub di Londra. Un conoscente italiano parla dell'Italia come di una nazione di "poeti, santi e navigatori". Gli inglesi presenti al nostro tavolo abbozzano ... beh, si fa per dire: due di loro sono piegati in due dalle risate.
Inizia una lunga discussione sui meriti di Cook e Colombo, Drake e Vespucci, Shakespeare e Dante, Stephen Spender e D'Annunzio , W.H.Auden e Ungaretti. Gli inglesi riconoscono che ci sono sicuramente molti santi italiani, "visto che il Papa vive in Italia e ci sara' una coda cosi' di gente che chiede di far santo il cugino/nipote/fratello", ma a parte questo i due schieramenti rimangono sulle proprie posizioni di partenza. Piu' tardi, a casa, vado a cercare l'origine della definizione da cui siamo partiti, "poeti, santi e navigatori". E' una frase sorprendentemente recente: venne coniata nel 1935 da Benito Mussolini...

Torino, 1994. Partecipo ad un corso di lingua serbo-bosniaca (o era serbo-croato-bosniaca?) organizzato dalle ACLI per i volontari che andranno per qualche giorno in visita in un campo profughi a Tolmino, in Slovenia, che ospita profughi bosniaci. Qualcuno la chiama "missione", qualcuno mette di mezzo Dio, altri ammettono prosaicamente di far volontariato per l'egoistica soddisfazione che deriva dall'aiutare gli altri. La lezione di lingua continua, e tra le altre cose vengono fornite raccomandazioni su cose da evitare. Evitare di pronunciare certe parole con un certo accento, che ci farebbe suonare come serbi anziche' bosniaci. Evitare di fare promesse di qualsiasi tipo ai ragazzini, non possiamo garantire che torneremo, o che riusciremo a far loro avere le foto scattate in questi giorni, o altro ancora. E poi, soprattutto: durante i controlli al confine, non dire che andiamo in Slovenia per turismo. Quella parola ha perso il suo significato originale, grazie a tanti nostri connazionali che sono andati in Slovenia e negli altri Stati dell'ex Yugoslavia negli anni scorsi, e ne ha assunto uno nuovo: contattare belle ragazze, promettere loro un lavoro serio in Italia, pagar loro il viaggio d'andata verso il Belpaese, e poi instradarle verso la prostituzione, da strada o d'alto bordo. Grazie insegnanti, ci pensero' due volte prima di definirmi un "turista", in futuro!

E infine, Rennes, 1994. Ero in un ottimo ostello della gioventu' a Rennes (non Rennes-le-Ch?teau), nel nord della Francia, e condividevo un'ampia stanza con uno statunitense, piu' o meno mio coetaneo. Parlando di tutto arriviamo a parlare di stereotipi, e sento per la prima volta due battute su uno dei cliche' piu' noti sugli italiani, quello del nostro - vero o presunto - scarso coraggio in guerra.
"Sai qual'e' il libro piu' breve del mondo? Quello che elenca gli eroi di guerra italiani" era la prima, e "I carri armati italiani della Seconda Guerra Mondiale avevano una marcia in avanti e cinque retromarce" la seconda. Gia', non abbiamo esattamente la reputazione d'essere coraggiosi.

Epilogo

Non mi piacciono gli stereotipi, e colgo ogni occasione disponibile per seminare qualche dubbio nella testa di chi li adopera; vi invito a fare lo stesso. Durante la conversazione con il mio coetaneo statunitense a Rennes, replicai alle sue battute sul "coraggio italiano" con un invito ad aprire gli occhi: riguardo all'aspetto fisico, gli stereotipi vogliono gli statunitensi alti, grossi e muscolosi, e gli italiani bassi, scuri e coi capelli unti (giuro), eppure, tra i due, quello piu' alto, meno scuro, coi capelli piu' americani (a spazzola) ero proprio io, l'italiano.

Argomenti: antropologia spicciola, Italia, italianità, Silvio Berlusconi, stereotipi

Commenti (2)Commenta


23/10/2010 11:17:29, Mauro
Scusi neh, non e' che sa in quale stato si puo chiedere lo stato di Apolide e vivere tranquilli senza essere riconosciuto come Italiano?
Cordialmente
Un 'Italiano che non si sente Italiano
10/01/2019 14:25:48, Claudio_VL
Mauro,
Qualche anno fa (2015, credo) incontrai al consolato italiano di Londra una signora veneta, residente locale, che aveva avviato la procedura per la rinuncia alla cittadinanza italiana.

Non so se quell'anziana signora ce l'avesse con l'Italia di destra o quella di sinistra, o se fosse stufa di essere considerata a priori una furbetta. Forse sentiva il peso dell'essere leale a due patrie, quando tanti non lo sono neppure a una. Non stava rinunciando alla cittadinanza italiana per praticità o per il costo della marca da bollo del passaporto: c'era della rabbia, nelle sue parole.

Non sono tanti quelli che passano dalle parole ai fatti. Ripenso a quella signora, ogni tanto. Non so se farei come lei.

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