A Copenaghen in cerca di Martin Rohde e Michael Laudrup
San Valentino 2015 nella capitale danese
14/12/2015 | Claudio_VL | 0 commenti
E' inverno, fa freddo, ci saranno zero gradi o meno, e le giornate durano poco. Siamo in febbraio, e quest'anno il nostro tradizionale viaggio a sorpresa per San Valentino ci ha portati a Copenaghen.
Dialogo col tassista sulle celebrità danesi
"Hai mai incontrato l'attore che interpreta il detective in The Bridge? Quello che fa Martin, come si chiama...". Non mi veniva in mente il cognome. "Bodnia, l'attore si chiama Kim Botnia, o Bodnia".
"Martin Rohde!", disse il tassista, con la pronuncia danese che mi ci vorrebbero ore, per imitarla. "No, non l'ho mai incontrato, perché? Conosci Broen? Lo trasmettono, dove vivi?".
"Si', in Inghilterra The Bridge lo trasmette la BBC. Ma non e' per vedere il ponte che sono qui. E' dai tempi in cui Michael Laudrup giocava in Italia, che volevo venire in Danimarca".
Mi dice che lui e' troppo giovane per aver visto giocare Laudrup e gli altri (Brian Laudrup, Arnesen, Morten e Jesper Olsen, Elkjaer e il resto della fantastica Nazionale danese del 1984), ma che li conosce perche' tanti di loro fanno i commentatori sportivi in tv, e anche perche' la vittoria della Danimarca agli Europei del 1992 viene ancora celebrata come un grande successo, per questa piccola Nazione di cinque milioni di abitanti. Eppure Laudrup non gioco' in quella Nazionale, per una questione di principio.
Ogni giorno sento dire che questo o quel tizio ha fatto qualcosa per una "questione di principio". Il modo per riconoscere le "questioni di principio" e' semplice: se ti costa del denaro e non promette un futuro ritorno economico, stai davvero seguendo un principio.
Il tassista: curdo, danese e turco (nell'ordine)
"Come faccio? Io sono cittadino danese, perché sono nato qui, ma sono anche turco, per via della cittadinanza dei miei genitori. Ma prima di tutto sono curdo, perché quello e' ciò che sono."
"Ci vai d'accordo, coi danesi d'origine turca?"
"Mica tanto. Non abbiamo niente in comune. Io e i miei genitori, poi, siamo cristiani, quindi vado più d'accordo con i miei vicini danesi che con quelli turchi." Parla e tiene gli occhi sulla strada, senza distrarsi.
"Quindi quando la Turchia gioca con la Danimarca, tu ...". Mi interrompe.
"Hanno giocato pochi mesi fa a Odense, e abbiamo perso noi. Per fortuna era un'amichevole. Io tifo sempre contro la Turchia, chiunque sia l'altra squadra!"
Lo fanno anche tanti scozzesi quando gioca l'Inghilterra. Glielo dico, ride. "FREEEEEEDOOOOOM", grida a bassa voce imitando Mel Gibson in Braveheart.
Martin Rohde e gli stereotipi sui danesi
Martin Rohde non esiste, e' un personaggio immaginario, il protagonista del telefilm svedo-danese (dan-svedese ?) The Bridge, di cui ho parlato in passato (tema musicale qui a fianco).
Martin e' fittizio, e' una collezione di stereotipi sui danesi: e' estroverso, ama godersi la vita, ama le donne, mangiare e bere, e pazienza se ne soffre la salute. E' a suo agio con le persone, riesce a empatizzare con le vittime e a comprendere i criminali, e' emotivo e impulsivo, l'opposto della sua collega svedese Saga Norén, con cui indaga sui crimini che toccano sia Danimarca che Svezia. Martin e', con Saga, il protagonista della serie, e anche i suoi colleghi danesi di The Bridge sono piu' diretti e meno politicamente corretti dei loro omologhi svedesi, parlano di piu', sembrano conoscere meglio (rispetto agli altri scandinavi e ai finlandesi, che proprio scandinavi non sono) il gusto della vita.
Se avete sentito dire che i danesi sono i napoletani del Nord Europa, beh ecco, non e' un'analogia completamente campata in aria. Ma mi pare che, in media, gli italiani siano piu' vivaci e meno riservati dei danesi che ho visto in questo freddo weekend di febbraio. Più chiusi dei finlandesi (perlomeno considerando entrambe le popolazioni da sobrie). E anche più alteri e orgogliosi dei finlandesi, che comunque già sono piuttosto fieri (se vi trovate a Helsinki, provate a menzionare la Russia ai vostri interlocutori: nel giro di due minuti qualcuno vi ricorderà che "gli abbiamo fatto un culo cosi', ai russi!", nella Talvisota, la "guerra d'inverno" russo-finnica del '39-'40).
Viaggio, albergo, trasporti
Sono a Copenaghen con un pacchetto British Airways, volo più albergo. L'albergo e' il First Hotel Høje a Taastrup. Ci arriviamo in taxi (s'era capito, no?) dopo interessanti conversazioni, e' sera, fa freddo. Il mattino dopo fa ancora freddo, e Taastrup e' squalliduccia, a meta' febbraio, poi l'albergo non e' che sia in centro a questa città di trentacinquemila abitanti: e' in quartiere in cui tutte le palazzine sono identiche, e non capisci se sono alberghi senza nome, case private prive di decorazioni (*), caserme, prigioni o cosa.
(*): pare che i danesi amino profondamente la privacy, al punto da evitare di mettere, a casa, decorazioni che siano visibili dall'esterno. Mi pareva una stronzata affermazione difficile da confermare o smentire, ma pare credibile, per quanto riguarda questo quartiere.
L'albergo e' a meno di dieci minuti dalla stazione ferroviaria che porta a Copenaghen, per fortuna.
Gli strani letti di quest'albergo a Copenaghen
C'e' del marcio in Danimarca. Questa non potevate non beccarvela, anche se di marcio - o anche solo di sporco - non ho visto niente, a Copenaghen. Pero' qualcosa di strano c'e'.
Quando arriviamo alla nostra camera d'albergo al First Hotel Høje Taastrup ci sono un paio di sorprese. Primo, non e' un letto matrimoniale, sono due letti gemelli attaccati. Fin qui, niente di terribile. Ma ... i cuscini sono larghi come meta' letto, il che rende difficile dormire con un braccio sotto il cuscino,o cambiare posizione senza ritrovarsi senza cuscino.
Infine, il lenzuolo di sopra. E' largo esattamente come il letto, il che significa che, quando ti sdrai, non arriva più neanche ai bordi laterali del letto. E' possibile che i danesi siano cosi' magri da essere bidimensionali, quindi senza profondità, e che quindi non sollevino per niente il lenzuolo? Perché altrimenti avranno freddo, in letti come questi.
No, non e' finita. Perché quando ti sdrai ti accorgi che anche l'altro lenzuolo, quello sotto di te, e' troppo stretto, sarà largo abbastanza da scendere lungo i lati del materasso e da infilarcisi sotto pr un paio di centimetri. E visto che non ha elastici lungo i bordi e negli angoli, il lenzuolo se ne sta sopra il materasso per qualche secondo, poi - appena ti muovi - inizia a fare pieghe, che ti ritrovi sotto la schiena.
Chiediamo alla reception se possiamo avere cuscini più grandi. Ci dice che c'è da pagare un extra, quattro euro a cuscino. Facciamo senza, grazie.
Sabato mattina, dove andiamo? Prendiamo il treno e raggiungiamo Kastellet, una delle fortezze piu' belle e meglio conservate del Nord Europa. La fortezza e' tuttora in uso da parte delle forze armate danesi. Vicino alla fortezza c'è anche la Sirenetta, uno dei simboli di Copenaghen. Ne parleremo un'altra volta.
Infine, il lenzuolo di sopra. E' largo esattamente come il letto, il che significa che, quando ti sdrai, non arriva più neanche ai bordi laterali del letto. E' possibile che i danesi siano cosi' magri da essere bidimensionali, quindi senza profondità, e che quindi non sollevino per niente il lenzuolo? Perché altrimenti avranno freddo, in letti come questi.
No, non e' finita. Perché quando ti sdrai ti accorgi che anche l'altro lenzuolo, quello sotto di te, e' troppo stretto, sarà largo abbastanza da scendere lungo i lati del materasso e da infilarcisi sotto pr un paio di centimetri. E visto che non ha elastici lungo i bordi e negli angoli, il lenzuolo se ne sta sopra il materasso per qualche secondo, poi - appena ti muovi - inizia a fare pieghe, che ti ritrovi sotto la schiena.
Chiediamo alla reception se possiamo avere cuscini più grandi. Ci dice che c'è da pagare un extra, quattro euro a cuscino. Facciamo senza, grazie.
Andiamo alla fortezza Kastellet
Sabato mattina, dove andiamo? Prendiamo il treno e raggiungiamo Kastellet, una delle fortezze piu' belle e meglio conservate del Nord Europa. La fortezza e' tuttora in uso da parte delle forze armate danesi. Vicino alla fortezza c'è anche la Sirenetta, uno dei simboli di Copenaghen. Ne parleremo un'altra volta.
Com'e' che siamo in Danimarca? Laudrup, la curiosità sulla Danimarca e un debito morale
Siamo in Danimarca perché c'era l'opportunità di andarci, e per il nostro già citato viaggio a sorpresa per San Valentino, perché come ogni coppia anche mia moglie ed io abbiamo le nostre tradizioni. Ma quel che ho detto al tassista e' vero.
E' da quando Michael Laudrup venne acquistato dalla Juventus e immediatamente trasferito - senza informarlo in anticipo - alla Lazio, che sono curioso riguardo alla Danimarca. Nelle sue interviste alla tv italiana, Laudrup dimostrava d'aver imparato rapidamente l'italiano, e di avere interessi simili a quelli dei ragazzi della sua eta', che poi era poco più della mia. E anche di essere umile e intelligente, due doti rare tra i calciatori di quei tempi quanto la neve in Arabia. Generalizzando, pensai che se un danese era cosi', tutti i danesi dovevano essere cosi', e che la Danimarca doveva quindi essere un bel Paese.
Ovviamente il fatto che anche Renée Simonsen fosse danese non aveva niente a che vedere col mio interesse per la Danimarca...
Michael Laudrup, pur con tutti i soldi che deve aver fatto, e col successo e l'adulazione che accompagnano la carriera dei calciatori, aveva subito due torti, secondo me, magari anche tre. Il primo e' stato quell'esilio alla Lazio. Niente da dire, i rapporti tra la dirigenza bianconera e quella biancoceleste erano buoni, all'inizio degli anni Ottanta, e la Juve non poteva far giocare un terzo straniero, aveva già Platini e Boniek. Ma Laudrup aveva firmato - o credeva d'aver firmato - per giocare con una maglia, e si ritrovo' ad indossarne un'altra.
L'altro torto glielo fece Bettega, ripetutamente. Uno dei giocatori più intelligenti della Serie A, Bettega pronuncio' sempre il cognome del danese "Landrup". Magari lo faceva apposta.
Il terzo torto, fortemente ipotetico e non imputabile a qualcuno in particolare, e' che Michael Laudrup non ebbe mai l'occasione di giocare in squadra con me.
Vai con le risate.
All'inizio del 1985 sognavo di giocare in una Juventus di giovani, con Laudrup, Stefano Pioli, e magari Vincenzo Scifo, stella della nazionale belga, che aveva tanta voglia di diventare bianconero. Questo mio sogno (**) aveva un limite concreto: non so giocare a pallone. Ok, come quasi tutti mi sono ritrovato a segnare nove goal in una partitella tra amici, ma quella stagione e' durata poco. Settimane, forse. O magari solo due ore.
Se conoscete un danese, probabilmente avrete notato che ama lavorare. Fare cose. Riparare cose. Un altro dei cliché sui danesi, non esplorato da The Bridge, e' quello che vuole i danesi come popolo eminentemente pratico, poco amante 1) delle chiacchiere vuote fatte per riempire il silenzio ("mi piace il silenzio, non rovinarlo!"), 2) delle congetture, ipotesi e ragionamenti astratti, e 3) dell'ozio.
Kes (nome di fantasia) era un collega danese che viveva in Inghilterra e lavorava a due uffici dal mio, vicino all'aeroporto di Heathrow. Ogni tanto Kes chiedeva a noi informatici di creare un programma per semplificare un compito lavorativo, e c'erano sempre pochi volontari per andare a parlargli: Kes, che era vicino alla pensione, aveva sempre un'idea molto precisa non solo di cosa dovesse fare il programma, ma anche di come dovesse essere scritto e come dovesse essere realizzato. Se vuoi farti lanciare maledizioni da un programmatore (o da un calzolaio, o da un geometra), digli come fare il suo lavoro. Per me non era un problema, bastava prendere le buone idee e ignorare quelle meno buone. Ma nel corso della conversazione, Kes finiva sempre coll'insegnarti a fare qualcosa che non sapevi fare. Vai da lui per discutere di una modifica al programma di fatturazione, e finisci col tornare alla scrivania con uno schema per fare il pollo al cartoccio alla brace.
A Copenaghen ci sono palazzi dipinti in colori vivaci, come capita in altre città del Nord Europa. Saranno colorati cosi' per renderli più visibili con la nebbia e con la pioggia, oppure per aiutarti a rientrare a casa quando e' l'alcool ad annebbiarti la vista?
E' da quando Michael Laudrup venne acquistato dalla Juventus e immediatamente trasferito - senza informarlo in anticipo - alla Lazio, che sono curioso riguardo alla Danimarca. Nelle sue interviste alla tv italiana, Laudrup dimostrava d'aver imparato rapidamente l'italiano, e di avere interessi simili a quelli dei ragazzi della sua eta', che poi era poco più della mia. E anche di essere umile e intelligente, due doti rare tra i calciatori di quei tempi quanto la neve in Arabia. Generalizzando, pensai che se un danese era cosi', tutti i danesi dovevano essere cosi', e che la Danimarca doveva quindi essere un bel Paese.
Ovviamente il fatto che anche Renée Simonsen fosse danese non aveva niente a che vedere col mio interesse per la Danimarca...
Michael Laudrup, pur con tutti i soldi che deve aver fatto, e col successo e l'adulazione che accompagnano la carriera dei calciatori, aveva subito due torti, secondo me, magari anche tre. Il primo e' stato quell'esilio alla Lazio. Niente da dire, i rapporti tra la dirigenza bianconera e quella biancoceleste erano buoni, all'inizio degli anni Ottanta, e la Juve non poteva far giocare un terzo straniero, aveva già Platini e Boniek. Ma Laudrup aveva firmato - o credeva d'aver firmato - per giocare con una maglia, e si ritrovo' ad indossarne un'altra.
L'altro torto glielo fece Bettega, ripetutamente. Uno dei giocatori più intelligenti della Serie A, Bettega pronuncio' sempre il cognome del danese "Landrup". Magari lo faceva apposta.
Il terzo torto, fortemente ipotetico e non imputabile a qualcuno in particolare, e' che Michael Laudrup non ebbe mai l'occasione di giocare in squadra con me.
Vai con le risate.
All'inizio del 1985 sognavo di giocare in una Juventus di giovani, con Laudrup, Stefano Pioli, e magari Vincenzo Scifo, stella della nazionale belga, che aveva tanta voglia di diventare bianconero. Questo mio sogno (**) aveva un limite concreto: non so giocare a pallone. Ok, come quasi tutti mi sono ritrovato a segnare nove goal in una partitella tra amici, ma quella stagione e' durata poco. Settimane, forse. O magari solo due ore.
(**): Laudrup probabilmente pensava ad altro. Forse al Pallone d'Oro, o alla Tuborg, o magari scriveva lunghe lettere a Lars Ulrich (danese dei Metallica), lamentandosi che qualcuno aveva chiesto a lui e a Elkjaer di raccontare com'era la vita a Stoccolma). O magari pensava a Renée Simonsen, che poi si mise col bassista dei Duran Duran, e fu una perdita per tutti, tranne che per John Taylor.
Il danese, Homo Faber
Se conoscete un danese, probabilmente avrete notato che ama lavorare. Fare cose. Riparare cose. Un altro dei cliché sui danesi, non esplorato da The Bridge, e' quello che vuole i danesi come popolo eminentemente pratico, poco amante 1) delle chiacchiere vuote fatte per riempire il silenzio ("mi piace il silenzio, non rovinarlo!"), 2) delle congetture, ipotesi e ragionamenti astratti, e 3) dell'ozio.
Kes (nome di fantasia) era un collega danese che viveva in Inghilterra e lavorava a due uffici dal mio, vicino all'aeroporto di Heathrow. Ogni tanto Kes chiedeva a noi informatici di creare un programma per semplificare un compito lavorativo, e c'erano sempre pochi volontari per andare a parlargli: Kes, che era vicino alla pensione, aveva sempre un'idea molto precisa non solo di cosa dovesse fare il programma, ma anche di come dovesse essere scritto e come dovesse essere realizzato. Se vuoi farti lanciare maledizioni da un programmatore (o da un calzolaio, o da un geometra), digli come fare il suo lavoro. Per me non era un problema, bastava prendere le buone idee e ignorare quelle meno buone. Ma nel corso della conversazione, Kes finiva sempre coll'insegnarti a fare qualcosa che non sapevi fare. Vai da lui per discutere di una modifica al programma di fatturazione, e finisci col tornare alla scrivania con uno schema per fare il pollo al cartoccio alla brace.
Palazzi multicolori
A Copenaghen ci sono palazzi dipinti in colori vivaci, come capita in altre città del Nord Europa. Saranno colorati cosi' per renderli più visibili con la nebbia e con la pioggia, oppure per aiutarti a rientrare a casa quando e' l'alcool ad annebbiarti la vista?
In bici a Copenaghen, col freddo, si suda?
Io saro' strano, ma quando faccio sforzi sudo. Magari poco, pochissimo, magari persino senza odore, ma sudo. Anche quando pedalo. Anche d'inverno. Gli inglesi, invece, non sudano neppure in palestra, anche quando sollevano cento chili di bilancieri, perché sudare non e' educato. E i danesi? Se sudino non saprei dirlo, ma di sicuro zero gradi non sono troppo pochi per andare in bici, per loro, e non per fare sport. Giovani e vecchiette pedalano verso le loro destinazioni, e non c'è un centimetro quadrato di lycra o abbigliamento tecnico in vista. Come in Olanda, la bici e' parte della quotidianità, non un momento che metti da parte per fare esercizio fisico.
A Copenaghen ci sono tante bici, anche per il prezzo elevato della auto, pare (anche se a Singapore costano molto di più). Se vi trovate a pedalare, non fate gli italiani: segnalate ogni volta che svoltate o che vi fermate.
Ad Amalienborg Palace c'è il cambio della guardia. Ci sono anche i turisti che cercano di provocare una reazione nei soldati, ma fucili mitragliatori e baionette mi ispirano sempre poca fiducia, quindi mi tengo alla larga. All'improvviso il soldato a pochi metri da me lascia la garitta e inizia a camminare solennemente, con passo marziale, fino all'angolo del marciapiede, a una decina di metri di distanza. Se ne sta li' per qualche decina di secondi, mentre anche le altre guardie del palazzo reale (invernale) fanno lo stesso movimento, e poi tutti tornano alla loro garitta. No, non e' il cambio della guardia, questo. Magari solo la passeggiata della guardia.
A differenza dei soldati fuori da Buckingham Palace, questi soldati danesi hanno lo sguardo piuttosto truce, e non sono imperturbabili: se gli rompi le scatole o ti avvicini per una foto, ti guardano negli occhi. Ascoltano troppo heavy metal, qui al nord.
Sabato sera, ci fermiamo in un caffè. O e' un'enoteca. Ci sediamo, il cameriere-barista-sommellier-probabilmente proprietario ci chiede quale vino vogliamo bere. Ordiniamo un tagliere di formaggi danesi, chiedo se sono specializzati in vini di un'area specifica, lui dice che no, hanno vini di tutto il mondo. Chiedo se hanno vini neozelandesi del Marlborough, cosi'. Non hanno vini neozelandesi. Chiedo se hanno vini piemontesi tipo il Freisa. Non hanno vini piemontesi. La conversazione prosegue cosi', io chiedo e il tizio risponde a monosillabi. Non pare timido, solo estremamente riservato, capita anche in Italia di trovare colleghi che ti raccontano per anni che vogliono "aprire un bar", e poi scoprono di che odiano la gente.
Chiedo al cameriere-barista-sommellier-probabilmente proprietario quale vino mi consiglia. Non sa che dire. Alla fine ordiniamo un vino con una bottiglia blu, e' un Blue Fin California Petite Sirah. Costa un capitale (venti euro, più o meno il doppio di quel che costa negli USA).
In seguito, tornando a casa in treno, ripenseremo al tempo passato in questo locale. In quelle stesse ore, a pochi isolati di distanza, due attacchi terroristici facevano due vittime nella sinagoga principale di Copenaghen e nel centro culturale Krudttønden, dove si stava svolgendo una conferenza intitolata "Art, Blasphemy and Freedom of Expression".
A Copenaghen ci sono tante bici, anche per il prezzo elevato della auto, pare (anche se a Singapore costano molto di più). Se vi trovate a pedalare, non fate gli italiani: segnalate ogni volta che svoltate o che vi fermate.
C'è tanto spazio in città. E c'è il cambio della guardia
Ad Amalienborg Palace c'è il cambio della guardia. Ci sono anche i turisti che cercano di provocare una reazione nei soldati, ma fucili mitragliatori e baionette mi ispirano sempre poca fiducia, quindi mi tengo alla larga. All'improvviso il soldato a pochi metri da me lascia la garitta e inizia a camminare solennemente, con passo marziale, fino all'angolo del marciapiede, a una decina di metri di distanza. Se ne sta li' per qualche decina di secondi, mentre anche le altre guardie del palazzo reale (invernale) fanno lo stesso movimento, e poi tutti tornano alla loro garitta. No, non e' il cambio della guardia, questo. Magari solo la passeggiata della guardia.
A differenza dei soldati fuori da Buckingham Palace, questi soldati danesi hanno lo sguardo piuttosto truce, e non sono imperturbabili: se gli rompi le scatole o ti avvicini per una foto, ti guardano negli occhi. Ascoltano troppo heavy metal, qui al nord.
Siamo in un caffè vicino a Christiania, ignari
Sabato sera, ci fermiamo in un caffè. O e' un'enoteca. Ci sediamo, il cameriere-barista-sommellier-probabilmente proprietario ci chiede quale vino vogliamo bere. Ordiniamo un tagliere di formaggi danesi, chiedo se sono specializzati in vini di un'area specifica, lui dice che no, hanno vini di tutto il mondo. Chiedo se hanno vini neozelandesi del Marlborough, cosi'. Non hanno vini neozelandesi. Chiedo se hanno vini piemontesi tipo il Freisa. Non hanno vini piemontesi. La conversazione prosegue cosi', io chiedo e il tizio risponde a monosillabi. Non pare timido, solo estremamente riservato, capita anche in Italia di trovare colleghi che ti raccontano per anni che vogliono "aprire un bar", e poi scoprono di che odiano la gente.
Chiedo al cameriere-barista-sommellier-probabilmente proprietario quale vino mi consiglia. Non sa che dire. Alla fine ordiniamo un vino con una bottiglia blu, e' un Blue Fin California Petite Sirah. Costa un capitale (venti euro, più o meno il doppio di quel che costa negli USA).
In seguito, tornando a casa in treno, ripenseremo al tempo passato in questo locale. In quelle stesse ore, a pochi isolati di distanza, due attacchi terroristici facevano due vittime nella sinagoga principale di Copenaghen e nel centro culturale Krudttønden, dove si stava svolgendo una conferenza intitolata "Art, Blasphemy and Freedom of Expression".
Italiani a Copenaghen: per strada, al cinema. In moto.
E' sera, camminiamo dalle parti del Royal Danish Playhouse, un bel teatro. Arriviamo all'ora di chiusura, ci lasciano entrare, guardiamo intorno, usciamo.
Ponti pedonali e per bici, tanta acqua intorno. Ottima illuminazione, e per fortuna. Davanti a noi una comitiva cammina e conversa in inglese, noto almeno tre accenti differenti. Poi uno risponde a una telefonata, due ragazze si fermano a fare una foto. Sono imbacuccatissime.
"Che freddo stasera!"
"Ti abituerai. Tempo sei mesi e ti sentirai a casa."
"Io pero' questi non li sopporto, qui non mi caga nessuno."
Il giorno dopo, camminando nella zona dei Giardini di Tivoli (chiusi), vedo una Honda Transalp di quelle vecchie, probabilmente fine anni Ottanta. Tanti bagagli, tanta protezione contro il freddo, un orsetto sul bauletto. C'è qualcosa di familiare.
Il motociclista arriva, ed e' italiano. E' stato su, dalle parti di Capo Nord, e ora - a Copenaghen, intorno allo zero - ha caldo. Lo capisco, ma se non vai prima a Capo Nord, Copenaghen e' fredda, a meta' febbraio.
In serata, cercando un ristorante con prezzi ragionevoli (***), ci infiliamo in un ampio centro culturale con cinema e ristorante. Mia moglie si siede su un divano, io vado in bagno. Quando torno, cerchiamo di decidere cosa vogliamo mangiare stasera, evidentemente non qui (panini e pizzette, no grazie). In uno dei divani vicini ci sono due ragazzi intorno ai trent'anni. Parlano di cinema, di cucina, di Copenaghen. E' un appuntamento. Parlano in inglese ma si sente che non e' la loro prima lingua, e il loro accento non e' danese. Poi iniziano entrambi a parlare italiano, senza accento.
Scandinavi tutti alti e biondi? Non proprio. Qui a Copenaghen, guardando la gente e ascoltandola (altrimenti rischi di vedere un tedesco e scambiarlo per un danese), mi pare che ci sia tanta gente alta, tanti uomini sopra il metro e novanta e tante donne sopra il metro e ottanta. E tutti magri, ma magari per il weekend di San Valentino la gente dimagrisce (una teoria bislacca ci vuole, ogni tanto). Soprattutto non sono solo i giovani, ad essere alti: lo sono anche gli anziani.
Di biondi, qui, se ne vedono non più che a Londra o a Milano. Ma magari va di moda tingersi i capelli di colori scuri.
Fa freddo, abbiamo camminato abbastanza, ci prendiamo una pausa. Saliamo su un autobus di linea, quasi a caso. Vediamo cose che non avremmo visto se avessimo preso la metropolitana, o se ci fossimo chiusi in un caffè o in un pub, vediamo quelle piccole cose banali che vedi ovunque e che sono differenti ovunque. Come vive la gente a Copenaghen. L'autobus percorre Hedegaardsvej e ci porta fino a Femøren Station, vicino al mare. Le case si fanno più rare, ci sono case più piccole e più semplici, rispetto al centro città, sono case dove i danesi vanno a passare il weekend.
Siamo in febbraio, non c'è gente che prende il sole, in spiaggia. Non c'è neppure, il sole. Ci sono aquiloni, gente che fa paragliding. Ci sono canoisti col kayak pieno di doni, non so se sia per una cerimonia religiosa o laica. Magari vanno - in kayak! - a portar doni a dei bambini disabili in un ospedale. Oppure, al contrario, sono membri di un club di milionari che ... non lo so, inventatevi la storia che preferite. Pero' vedere persone in kayak, in febbraio, cariche di regali non credo capiti spesso.
Ponti pedonali e per bici, tanta acqua intorno. Ottima illuminazione, e per fortuna. Davanti a noi una comitiva cammina e conversa in inglese, noto almeno tre accenti differenti. Poi uno risponde a una telefonata, due ragazze si fermano a fare una foto. Sono imbacuccatissime.
"Che freddo stasera!"
"Ti abituerai. Tempo sei mesi e ti sentirai a casa."
"Io pero' questi non li sopporto, qui non mi caga nessuno."
Il giorno dopo, camminando nella zona dei Giardini di Tivoli (chiusi), vedo una Honda Transalp di quelle vecchie, probabilmente fine anni Ottanta. Tanti bagagli, tanta protezione contro il freddo, un orsetto sul bauletto. C'è qualcosa di familiare.
Il motociclista arriva, ed e' italiano. E' stato su, dalle parti di Capo Nord, e ora - a Copenaghen, intorno allo zero - ha caldo. Lo capisco, ma se non vai prima a Capo Nord, Copenaghen e' fredda, a meta' febbraio.
In serata, cercando un ristorante con prezzi ragionevoli (***), ci infiliamo in un ampio centro culturale con cinema e ristorante. Mia moglie si siede su un divano, io vado in bagno. Quando torno, cerchiamo di decidere cosa vogliamo mangiare stasera, evidentemente non qui (panini e pizzette, no grazie). In uno dei divani vicini ci sono due ragazzi intorno ai trent'anni. Parlano di cinema, di cucina, di Copenaghen. E' un appuntamento. Parlano in inglese ma si sente che non e' la loro prima lingua, e il loro accento non e' danese. Poi iniziano entrambi a parlare italiano, senza accento.
(***): non lo troveremo, un ristorante poco costoso. Copenaghen e' cara. Finiremo col cenare in una ristopizzeria italiana dove il personale non parla italiano, ma le pizze hanno nomi e sapori familiari.
Son tutti alti e belli, son tutti modelli (e modelle)
Scandinavi tutti alti e biondi? Non proprio. Qui a Copenaghen, guardando la gente e ascoltandola (altrimenti rischi di vedere un tedesco e scambiarlo per un danese), mi pare che ci sia tanta gente alta, tanti uomini sopra il metro e novanta e tante donne sopra il metro e ottanta. E tutti magri, ma magari per il weekend di San Valentino la gente dimagrisce (una teoria bislacca ci vuole, ogni tanto). Soprattutto non sono solo i giovani, ad essere alti: lo sono anche gli anziani.
Di biondi, qui, se ne vedono non più che a Londra o a Milano. Ma magari va di moda tingersi i capelli di colori scuri.
Prendiamo l'autobus e andiamo in spiaggia
Fa freddo, abbiamo camminato abbastanza, ci prendiamo una pausa. Saliamo su un autobus di linea, quasi a caso. Vediamo cose che non avremmo visto se avessimo preso la metropolitana, o se ci fossimo chiusi in un caffè o in un pub, vediamo quelle piccole cose banali che vedi ovunque e che sono differenti ovunque. Come vive la gente a Copenaghen. L'autobus percorre Hedegaardsvej e ci porta fino a Femøren Station, vicino al mare. Le case si fanno più rare, ci sono case più piccole e più semplici, rispetto al centro città, sono case dove i danesi vanno a passare il weekend.
Siamo in febbraio, non c'è gente che prende il sole, in spiaggia. Non c'è neppure, il sole. Ci sono aquiloni, gente che fa paragliding. Ci sono canoisti col kayak pieno di doni, non so se sia per una cerimonia religiosa o laica. Magari vanno - in kayak! - a portar doni a dei bambini disabili in un ospedale. Oppure, al contrario, sono membri di un club di milionari che ... non lo so, inventatevi la storia che preferite. Pero' vedere persone in kayak, in febbraio, cariche di regali non credo capiti spesso.
Argomenti: antropologia spicciola, Danimarca, destinazioni, foto, racconti, Scandinavia, viaggio a sorpresa per San Valentino
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