Batam, le due facce dell'Indonesia

Forum Racconti di viaggio Batam, le due facce dell Indonesia + recente   SCRIVI
Claudio_VL
19-11-2013, 17:27:14

Batam, le due facce dell'Indonesia

Nei resort, un'Indonesia sterilizzata e bacardizzata per soddisfare i turisti stranieri. Fuori, l'Asia al naturale, senza trucco, nella quale sopravvivere conta piu' che lavare un bicchiere prima di versar da bere. Ammesso che ci sia qualcosa da bere.

Sabato mattina, giorno di San Valentino. Mia moglie ha organizzato un weekend a sorpresa a ... appunto, non si sa. La quantita' di cose che ha messo nel trolley mi fa pensare ad una via di mezzo tra una due-giorni in una localita' dei dintorni ed un viaggio di sei mesi intorno al mondo. Non proprio in sintonia col principio del viaggiare leggeri che vorrei rispettare piu' che in passato, pazienza.

Sabato mattina, dicevo. Gia' l'alzarsi presto nel fine settimana e' un crimine contro Morfeo, e speriamo che questo non sia un reato, qui a Singapore dove viviamo in questo periodo. Sono le otto di mattina; per una volta, non provo neppure a convincere la mia dolce meta' a prendere un mezzo pubblico: il taxi va benissimo. La prima destinazione della giornata e' Tanah Merah, uno dei terminali per i traghetti locali. "Locale", a Singapore, ha un significato differente che a Milano, Parigi o Londra. Nella piccola isola-stato asiatica, i trasporti locali ti portano in Malesia ed Indonesia. La Malesia e' raggiungibile da Singapore tramite due ponti, e l'Indonesia e' ad una ventina di chilometri, via mare. Otto e venti, siamo arrivati al Tanah Merah Ferry Terminal. Il numero di battelli in partenza dal terminale (troppo piccolo per chiamarlo porto) non e' elevato, per cui la riservatezza ostentata da mia moglie riguardo alla nostra destinazione non mi impedisce di fare due calcoli: siamo all'estremita' orientale di Singapore, per cui probabilmente non stiamo per andare in Malesia, scomoda da raggiungere da qui, rispetto ad altri moli e porti e imbarchi a Singapore. Propendo per una delle isole indonesiane. Non in direzione di Sumatra, che e' ad ovest, ne' Giava, che e' lontana. Giava ... Sumatra ... le Isole della Sonda ... ancora mi stupisco di vivere in questi posti, che mi fanno pensare a Salgari e al Corto Maltese di Hugo Pratt; neppure so se Corto Maltese sia mai stato in questi mari, ma pieni di pirati e di occasioni come sono, gli sarebbero piaciuti.

Batam. La nostra destinazione dev'essere l'isola di Batam, intuisco in base agli orari e alle destinazioni dei battelli in partenza. Il nostro parte alle dieci, e quasi lo perdiamo, visto che ci mettiamo dietro ad una coda di gente che ha deciso di stare in piedi con un'ora e mezzo di anticipo sul loro traghetto, che parte alle undici. Arriviamo all'imbarco, ed ecco il battello: veloce, basso, un centinaio di persone a bordo; faccio fatica a chiamarlo "traghetto", pensando alle grandi navi che collegano Francia e Inghilterra, o ai traghetto verso Sardegna e Corsica.
A bordo, l'aria condizionata e l'insonorizzazione sono utili, ma la navigazione tende verso il selvaggio andante, con cambiamenti di direzione che, magari anche lievi, sono sufficienti a mandare quasi KO il mio stomaco e quello di vari altri passeggeri.

Arriviamo dopo mezz'ora, e poi perdiamo tempo per fare il visto d'ingresso dopo essere sbarcati. Saliamo su un pulmino dell'albergo. Vedo che ci dirigiamo in direzione opposta alla citta': in meno di dieci minuti arriviamo, con mia sorpresa, ad un grande resort. Nella mia immaginazione (e nelle mie letture), l'Indonesia e' un caos brulicante di umanita'; il Turi Beach Resort, invece, mi ricorda il Berjaya di Tioman Pulau: un mini-paradiso isolato dall'area circostante. E qui, isolato significa anche difeso: se al resort malese di Tioman Pulau ("pulau" significa "isola" in lingua malay) avevamo visto un paio di custodi, qui ci sono addetti alla sicurezza muscolosi e, mi pare, armati. Mentre svolgiamo le pratiche del check-in ci vengono offerte delle bevande al miele e zenzero. Buone! Arriviamo al nostro bungalow e diamo un'occhiata in giro: due piscine, una di forma sinuosa e con bar semi-immerso, l'altra di forma rettangolare e disposta su due piani. Piscine in riva al mare... sono troppo vecchio per capire queste cose. C'e' anche una parete per arrampicata artificiale, ma per quello sono invece troppo pigro, perlomeno oggi. Sotto il tetto del bungalow (solo all'esterno) ci sono una dozzina di pipistrelli che dormono a testa in giu'.

Convinco mia moglie che esplorare la citta' e' meglio che passare il pomeriggio in piscina, e saliamo su un taxi, concordando la tariffa prima di partire. Ci vorra' un po' per abituarsi all'ordine di grandezza dei prezzi indonesiani: per il taxi sono centomila rupie, equivalenti a sei euro e mezzo. Suona molto meglio, quel prezzo, in euro. L'autista guida veloce e passa troppo vicino agli altri veicoli, mi pare. Ci sono tante auto nuove, e tanti "motorini" moderni: dico "motorini", ma in realta' hanno la struttura da ciclomotore ma il motore da 125cc. Questi motorini giganti trasportano carichi strabilianti, come visibile in questa galleria fotografica. Attraversiamo campagne in cui sono in costruzione aree residenziali, il manto stradale e' ottimo e il traffico scorre veloce. Il tassista ci lascia a Nagoya Hill, il centro commerciale piu' "occidentale" (per stile, non per posizione) della citta' di Batam. Al piano piu' basso troviamo tanti negozi di elettronica, peccato non espongano i prezzi, non amo tirare sul prezzo, ma in buona parte dell'Asia questo e' il solo modo per fare acquisti senza venir pelati. Saliamo, un'ampia galleria (non nel senso italiano di tunnel, ma in quello internazionale di "salone") ospita tanti ristoranti, da quelli locali alle catene occidentali (non solo McD...). Mangiamo in un ristorante indonesiano, pesce, riso, frutti di mare e qualche contorno, spendendo poco, ma trovare qualcuno che capisca l'inglese non e' facile, e noi non parliamo indonesiano. Facciamo una passeggiata fin troppo lunga dentro il Nagoya Hill Shopping Mall, anche grazie alle scale mobili che, quando arriviamo al secondo piano, scopriamo essere tutte in arrivo. Diciamolo meglio: se dal primo piano volete andare al secondo, troverete scale mobili; se dal terzo volete scendere al secondo, troverete scale mobili. Se pero' siete al secondo piano, rischiate una sorpresa: non ci sono scale mobili che portino ad altri piani! Dubito che sia una situazione permanente, altrimenti il secondo piano di quel centro commerciale potrebbe venire ribattezzato "Il posto dove i clienti arrivano e rimangono per il resto della loro vita". Probabilmente si e' trattato solo di uno sbaglio temporaneo, ma vedere che tutte le scale mobili portano ad un piano, e che da quel piano non ci sono ascensori ne' scale mobili che portino altrove, e' stata una piccola dimostrazione di come a volte si importino cose che non appartengono ad una cultura locale e che si finisca con l'usarle senza comprenderle. Ci sono tanti esempi piccoli e grandi, in tutto il mondo e in tutti i campi: alcuni miei conoscenti inglesi annegano la pasta scotta in un sugo liquido; tanti manager italiani parlano di "layout" senza sapere a quale parola italiana corrisponda. E via cosi'.

Troviamo infine un'uscita seminascosta che porta fuori dal centro commerciale. Si sente il mullah di una vicina moschea che invita alla preghiera: l'Indonesia e' un Paese musulmano, cosa di cui a volte ci si scorda. Iniziamo a camminare senza una meta particolare, seguendo un ampio viale che spero ci portera' in un'area piu' interessante di Batam. Siamo gli unici turisti, e ci sono poche persone che camminano, in questo momento. Tutti i tassisti di passaggio si fermano ed si offrono per trasportarci. Tante auto passano e suonano il clacson: l'impressione e' quella di esserci trasformati da turisti ad attrazioni semoventi. E oltre a noi, di attrazioni in giro non ce ne sono molte: a parte un fiume che e' una fogna a cielo aperto, la citta' sembra una miscela di negozi di prodotti elettronici ed edifici fatiscenti, sporcizia ed auto nuove, cartelli per una campagna elettorale (le scritte sono in indonesiano, ma le facce dei politici sono le stesse ovunque) e alberghi costosi. Alberghi per chi, mi chiedo, visto che l'unica faccia occidentale in giro e' la mia, a parte due tedeschi visti al centro commerciale, e che l'unica faccia sino-asiatica in giro e' quella di mia moglie. Dico "sino-asiatica" per dire cinese/giapponese/coreana, visto che, come dimostrato da www.alllooksame.com, distinguere un cinese da un giapponese da un coreano non e' facile neppure per un cinese, un giapponese o un coreano. Comunque, a parte l'assenza di occidentali e sino-asiatici, si nota anche la mancanza di persone d'aspetto indiano. Se ci sono turisti che usano gli alberghi di questa zona, probabilmente sono turisti indonesiani. Per contrasto, al Turi Beach Resort la maggior parte dei turisti sembravano singaporiani di etnia cinese, con una larga minoranza di occidentali, tra cui varie coppie russe fatte con lo stampino: lui tatuatissimo, lei bionda siliconata.

L'ennesimo automobilista che abusa del suo clacson mi risveglia dal torpore che mi ha avvolto camminando a Batam. Fa caldo, ma non tanto caldo da doversi riparare dal sole, oggi. Perche' suoneranno il clacson? Non c'e' traffico, e le auto che suonano lo fanno quando passano vicino a noi. Mia moglie ed io non portiamo abiti vistosi o discinti, per cui il clacson non sembra suonato "all'italiana" ("A' mora, che **** checciai!"). Suonano per offrirci un passaggio a pagamento, anche se non sono tassisti? Suonano per salutarci e darci il benvenuto? Suonano il clacson ciascuno per un motivo diverso che non conoscero' mai, a meno di fermarli uno per uno e chiedere quale sia questo motivo? Arriviamo vicino ad un McDonald's, e metto da parte i miei principi anti-cibo globalizzato (niente McD, niente Starbucks, niente KFC ... anti-globalizzazione sembra un sinonimo per anti-americanismo, come se noi italiani fossimo immuni dall'uso degli sweatshop... fammi controllare un po' dove sono fatte le magliette Kappa, le camicie Armani, le scarpe Lotto e Ellesse...), ed entriamo. La minuscola ragazzina musulmana che, dietro al bancone, prende il nostro ordine parla l'inglese migliore che ci sia capitato di sentire da quando siamo usciti dal resort: preciso e ben pronunciato. Beviamo due succhi di frutta a testa, spendendo circa un euro e mezzo. Le ragazze che lavorano in questo McD hanno tutte la testa coperta da un velo nero. Trovo paradossale che McD sia, qui e ora, un punto d'incontro tra stile di vita statunitense e tradizioni musulmane, la cui convivenza e' spesso difficile.

Nella passeggiata dal centro commerciale Nagoya Hill al McD non abbiamo visto quasi niente che fosse interessante a sufficienza da farmi tirare fuori dallo zaino la macchina fotografica. Decidiamo di ritornare all'albergo-resort-bungalow e ai nostri teneri pipistrelli. Il tempo di iniziare ad accennare a, forse, alzare una mano, e si fermano tre taxi. Saliamo in uno, diamo indicazioni, e capiamo che il tassista parla inglese come noi parliamo aramaico antico: poco e male. Pero' guida meglio del tassista che, all'andata, aveva fatto "rasetta" a vari motociclisti sovraccarichi. Passiamo il posto di controllo all'ingresso del resort e, pochi metri piu' avanti, notiamo movimento sulla strada. Scimmie. Paiono babbuini, ma scompaiono nella boscaglia troppo in fretta per un'identificazione precisa. Arriviamo alla reception, e il modesto inglese del tassista gli e' sufficiente per dirci che gli dobbiamo centocinquantamila rupie. Chiediamo ad uno dei dipendenti del resort se parla inglese, risposta negativa, lui chiama un altro collega, Franck (sic), che ci aiuta a tradurre la frase "Ci pigli per il culo? Centocinquantamila sono troppe!" in indonesiano. Il dipendente del resort ce ne mette anche del suo; ci accontentiamo di pagare centomila rupie, Franck ci dice che avremmo dovuto insistere per scendere fino a ottantamila. Va bene cosi, gli diciamo, e lo ringraziamo per l'intervento. Franck ritorna dietro al banco della reception prima che possiamo decidere se dargli una mancia o meno.

Nel nostro bungalow notiamo ora un certo lusso cui prima non avevamo dato peso: marmo e granito in bagno, per esempio. Cose che si notano piu' facilmente dopo una passeggiata in citta'.

Usciamo e percorriamo un sentiero lungo il mare. In tasca, il cellulare riceve SMS che ci danno il benvenuto in Indonesia (solo ora?). Piu' tardi, nel ristorante del resort, altri messaggi ci diranno che siamo entrati in Malesia. Ma se e' un ristorante giapponese! Continuando sul sentiero noto un varano. Non un varano di Komodo, isola indonesiana ben piu' ad est: un varano qualsiasi, lungo un metro esclusa la coda, agile a sufficienza da scivolare sulle rocce vicino al sentiero, scomparendo nella vegetazione prima che io possa avvicinarlo. Due metri sopra il sentiero: mi giro per vedere il mare, gli edifici del resort, il pontile su cui si trova un disco-bar. Ci vorrebbe un attimo, per il varano, per saltare fuori dai cespugli ed attaccarmi. Per fortuna non sono carnivori, i varani. Uhm... cosa mangiano? Uova, pesci, roditori ... i varani NON sono vegetariani! In realta' questo non rende piu' pericolosa la mia posizione: dubito che abbiano una vista tanto scarsa da scambiarmi per uno uovo, una trota o una lontra. Scendo dalla roccia, continuiamo la passeggiata. Il sentiero diventa una passerella sul mare, a causa dell'alta marea, poi termina di fronte ad un divieto d'accesso: inizia la proprieta' di un altro resort. Dietrofront. Il disco-bar e' chiuso, ritorniamo verso il resort, ma troviamo scimmie sul sentiero. Scimmie! Scatto decine di foto ma il fogliame degli alberi rende semibuia quest'area. Andiamo in piscina: illogica per me (c'e' il mare a poche decine di metri), ma molto bella e piacevole, devo ammettere. E profonda: quella piccola arriva ad una profondita' di due metri e quaranta!

Il cuoco del ristorante giapponeseDopo una rinfrescante nuotata, l'appetito si risveglia e decidiamo di cenare. Tra i vari ristoranti presenti nel resort scegliamo quello giapponese, che offre classica cucina teppanyaki, col cuoco che cucina davanti ai clienti su una piastra metallica, affettando, lanciando e incendiando il cibo. La cena e' buona, non abbondante ma giusta, come quantita'. D'altronde, il Giappone ha meno problemi di obesita' di altre Nazioni, e non si arriva ad un risultato simile con porzioni all'americana.

Dopo cena passeggiamo sul pontile, sono le dieci di sera e ci sono pochissime persone in giro. Saranno gia' a dormire, o si staranno preparando per uscire? Sia come sia, noi rientriamo nel nostro bungalow, e poco dopo siamo gia' nel mondo dei sogni. Fino alle quattro di mattina, quando un rumore mi sveglia e inizio a scrivere (sul cellulare): nella camera, o molto vicino al di fuori, c'e' un animale non identificato che fa tch-tch-tch ("ma non ci senti? Io faccio ph-ph-ph", avra' magari pensato l'animale). Abbiamo una zanzariera intorno al letto, ma con quella "voce" la bestiola non sembra davvero una zanzara; magari sara' semplicemente uno dei pipistrelli sopra l'ingresso. Non mi riaddormento.La spiaggia

La colazione al Turi Beach Resort e' tramite buffet, come in quasi tutti i resort: decine di vassoi da cui servirsi. Noi scegliamo bacon, salsicce, uova e quanto di piu' simile ad una colazione all'inglese ci sia; salsicce e bacon, comunque, non sono di maiale, l'Indonesia e' una Nazione musulmana (ieri sera a cena avevamo bevuto birra, ma forse nel ristorante giapponese valevano regole giapponesi...). Dopo colazione andiamo nella sala massaggi, dove mia moglie e' lieta di vedere che tutte le massaggiatrici del resort sono poco attraenti e vestite in una sobria uniforme. Io sono meno lieto nello scoprire che un'ora di massaggio molto "soft" e non sufficiente a rilassarsi costa cento dollari - in due -, quindi circa 50 euro. Questi sono prezzi degni della ben piu' ricca Singapore...

E' una torrida domenica, e ci buttiamo in piscina. Forse ci sarebbero altre cose da fare, altri posti da vedere, ma la voglia non c'e'. Avevamo prenotato il traghetto (o e' un aliscafo?) delle sedici e trenta per ritornare a Singapore, decidiamo invece di prendere quello delle due. All'imbarco, le code sono un'opinione: non c'e' aggressivita' e non ci sono scavalcamenti sfacciati, ma non si capisce quale sia la coda e quanto sia larga. La navigazione e' molto piu' tranquilla che all'andata, e la quantita' di uomini olandesi presenti a bordo, con le loro dozzine di lattine di birra e le loro mogli - o fidanzate, o domestiche - indonesiane che badano a bimbi in passeggini.

All'arrivo a Singapore, il controllo dei nostri documenti dura meno di un minuto, come al solito. Fuori dal Tanah Merah Ferry Terminal i taxi sono troppo pochi e l'attesa e' lunga, una ventina di minuti. Ma siamo a casa.

Non penso visitero' ancora Batam, ma continuo ad essere curioso nei confronti di altre parti dell'Indonesia, la quarta nazione piu' popolosa del pianeta: Giacarta, il Borneo, Komodo e i suoi varani, Sumatra e il lago Toba.



Nota: avevo pubblicato originariamente questo racconto presso http://www.viaggiareleggeri.com/racconti/51/batam-le-due-facce-dellindonesia, e con la prossima chiusura di quella sezione e' stato spostato qui. Data inserimento originale: 31-03-2009

Rispondi

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato [Mostra aiuto]

Domanda di verifica


Rispondi alla domanda seguente usando una sola parola, nessun numero.
Questa domanda è per verificare che tu sia umano.



Argomenti: foto, Indonesia, racconti

Pagine che potrebbero interessarti